Il telerilevamento come strumento a supporto del turismo consapevole nelle aree naturali prospicienti il territorio di Pompei: La mappatura del rischio d’incendio

Contrattista: Ing. Carmine Maffei

Responsabile Scientifico: Prof. Arch. Carmine Gambardella

Introduzione

Gli incendi boschivi costituiscono una delle principali minacce per l’ambiente e la sicurezza dei cittadini. Nel 2013 in Unione Europea
è stata percorsa dalle fiamme una superficie di più di 250000 ha, di cui più di 70000 ha appartenenti a siti Natura 2000 [1]. Per la sola Italia, i costi stimati ammontano a circa € 500.000.000 l’anno. Gli incendi hanno un impatto negativo sul potenziale produttivo dei boschi e delle aree circostanti, e costituiscono motivo di allarme per i turisti. Le conseguenze ricadono sulle economie regionali e sulla qualità della vita dei cittadini, soprattutto nelle aree economicamente depresse.

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Figura 1 – Incendi boschivi osservati da satellite nell’estate del 2007.

Chi si occupa della gestione delle aree protette e dei flussi turistici deve necessariamente confrontarsi con questo fenomeno, nel rispetto degli obiettivi stabiliti nella Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle Aree Protette [2]:

Accrescere la consapevolezza che le aree protette d’Europa sono parte integrante del patrimonio collettivo, e che pertanto esse vanno preservate per il godimento da parte delle generazioni correnti e future;

Incoraggiare lo sviluppo e la gestione sostenibile del turismo nelle aree protette, tenendo in conto le esigenze dell’ambiente, dei residenti, dell’economia e dei visitatori. Per sostenere tali obiettivi, tutte le parti interessate sono chiamate al rispetto di alcuni principi fissati dalla Carta, tra i quali si evidenziano:

Lavorare in partnership con tutti gli attori implicati nella gestione dei flussi turistici;

Preparare e implementare una strategia che tenga in conto, tra gli altri numerosi fattori, del valore naturale, storico e culturale dell’area;

Stabilire le priorità strategiche per la protezione delle aree naturali, sostenendo un utilizzo consapevole, gestendo i flussi turistici, e limitando attività e comportamenti che mettano a rischio la flora, la fauna e il paesaggio;

Comunicare efficacemente ai visitatori le qualità dell’area e i problemi legati alla sostenibilità del turismo.

La mappatura del rischio d’incendio assume dunque un duplice ruolo. Essa è innanzi tutto uno strumento di pianificazione della protezione delle aree naturali, poiché consente l’allocazione ottimale delle risorse di avvistamento e primo intervento. La rapidità della segnalazione (early warning) e della risposta sono essenziali per ridurre al minimo il danno in caso d’incendio. Utilizzate in un sistema di comunicazione, le mappe di rischio consentono poi di accrescere la consapevolezza dei turisti sullo stato dell’ambiente visitato. Le aree naturali nelle vicinanze di Pompei Sull’area del sistema territoriale di sviluppo F3 “Miglio d’Oro – Torrese Stabiese” e nelle sue immediate vicinanze insistono quattro Siti d’Interesse Comunitario (SIC) della Rete Natura 2000 [3].

Vesuvio (34.1 km2, codice Natura 2000: IT8030036) – Parte del Parco Nazionale del Vesuvio, è un vulcano ancora attivo (ultima eruzione 1944). Importanti sono la presenza di vegetazione pioniera di colate laviche e l’avifauna nidificante. I principali rischi sono l’elevata urbanizzazione e antropizzazione delle pendici, e gli atti di vandalismo.

Monte Somma (30.8 km2, codice Natura 2000: IT8030021)

– Parte del Parco Nazionale del Vesuvio, è il residuo semicircolare di un edificio vulcanico, coperto da castagneti e boschi misti, con un’importante presenza di betulla alle quote maggiori. Di particolare interesse l’avifauna nidificante. I principali rischi includono l’antropizzazione e l’urbanizzazione lungo le sue pendici, il vandalismo e il bracconaggio.

Dorsale dei Monti Lattari (145.6 km2, codice Natura 2000: IT8030008) – Costituiti da rilievi di natura calcarea, i Monti Lattari sono caratterizzati da ripidi versanti percorsi da brevi corsi d’acqua a regime torrentizio. Le fasce di vegetazione presenti sono rappresentative delle principali specie dell’Appennino meridionale. La zona è interessante per l’avifauna migratoria e stanziale. I principali rischi sono dovuti all’eccessiva antropizzazione e al relativo degrado ambientale.

Monti di Lauro (70.4 km2, codice Natura 2000: IT8040013) – Sono rilievi calcarei, interessanti per diverse comunità di anfibi, rettili e chirotteri. I rischi potenziali derivano da un eccessivo sfruttamento del territorio per l’allevamento, e dall’aumento della rete stradale a scopi turistici. Nel loro complesso, queste aree contano una frequentazione turistica di più di 600000 visitatori l’anno.

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Figura 2 – Inquadramento delle quattro aree SIC in prossimità del Comune di Pompei.

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Figura 3 – Uso e copertura del suolo nelle aree SIC (sola superficie a vegetazione naturale).

Il telerilevamento per la mappatura del rischio d’incendio

Il rischio d’incendio è determinato dalla probabilità dell’evento e dal danno che ne può derivare [4]. Un incendio si verifica in presenza di un’adeguata fonte di calore – che tipicamente è di natura antropica, dolosa o colposa, nel 95% degli incendi nel Mediterraneo [5] – e se è verificata la precondizione della presenza di combustibile (la vegetazione). La distribuzione spaziale, la quantità e lo stato della vegetazione, in particolare il suo contenuto d’acqua, determinano la pericolosità d’incendio [6]. Tra questi parametri, il contenuto d’acqua è il più rilevante, poiché influenza la probabilità di accensione e la velocità di propagazione delle fiamme. Esso è anche quello con la maggiore variabilità temporale, poiché assoggettato alla risposta della vegetazione alla forzante meteorologica, per cui la pianificazione delle attività di prevenzione ne richiede la mappatura frequente su vasta scala.

Questa esigenza può essere soddisfatta grazie al telerilevamento satellitare. I numerosi strumenti in orbita permettono di ottenere misure ripetute dello stato della vegetazione a livello globale su base quotidiana. Il principio fisico che rende questo possibile è dato dal fatto che la radiazione solare riflessa dalla vegetazione nelle onde corte infrarosse è sensibile al suo contenuto d’acqua. Molti dei satelliti in orbita o prossimi al lancio utilizzati per il telerilevamento terrestre includono sensori che operano in queste lunghezze d’onda, e sono potenzialmente utili per la mappatura della pericolosità d’incendio. Tuttavia, le esigenze di produzione cartografica
frequente possono essere soddisfatte da un numero limitato di missioni di osservazione della terra. Tra quelle attualmente operative si segnalano:

  1. Satelliti NASA Terra e Aqua, sensore MODIS;
  2. Satelliti Airbus Defence and Space SPOT-4 e -5, sensore
  3. VEGETATION;
  4. Satellite ESA PROBA-V, sensore VEGETATION;
  5. Satellite NASA Suomi NPP, sensore VIIRS.

Tra le missioni prossime al lancio si segnalano:

  1. Satellite ESA Sentinel-3 (programma Copernicus dell’Unione
  2. Europea), sensore SLSTR;
  3. Satellite NOAA JPSS, sensore VIIRS.

La comunità scientifica ha sviluppato diverse metodologie per la stima del contenuto d’acqua della vegetazione [7]. Tra queste, gli indici spettrali sono i più adatti alla produzione in tempo quasi-reale della cartografia di pericolosità, grazie alla loro semplicità computazionale. La quasi totalità degli indici spettrali proposti [8] sono adatti alla stima del contenuto d’acqua come equivalent water thickness (contenuto d’acqua equivalente, EWT), ossia come la massa d’acqua nei tessuti per unità di superficie fogliare. Tuttavia, i modelli di propagazione delle fiamme utilizzati in ambito forestale si basano su una diversa misura dell’umidità della vegetazione [7], il live fuel moisture content (contenuto gravimetrico d’acqua del combustibile vivo, LFMC). L’LFMC è definito come il rapporto tra la massa d’acqua contenuta nelle foglie e la massa dei tessuti secchi, e gli indici spettrali sensibili all’EWT non sono altrettanto efficaci nello stimare l’LFMC [9].

Per la stima dell’LFMC, l’autore ha recentemente proposto un nuovo indicatore spettrale, il perpendicular moisture index (PMI) basato
sui dati MODIS, che ne sfrutta le caratteristiche spettrali per risolvere parte delle limitazioni di cui sono afflitti i tradizionali indici spettrali di umidità [10], [11]. Per il modo in è stato definito, il PMI può essere utilizzato come una misura diretta dell’LFMC [12], [13].

Per la produzione di carte di PMI sono state utilizzate stime di riflettanza superficiale da rilievi del sensore Aqua-MODIS, composite
a 8 giorni (prodotto MYD09A1, collezione 5), ottenute dal Land Processes Distributed Active Archive Center (LP DAAC) del United States Geological Survey (USGS). Le mappe di contenuto gravimetrico d’acqua nella vegetazione sono state elaborate in ambiente GRASS GIS e mascherate sulle sole aree a vegetazione naturale sulla base della classificazione CORINE 2006. Sono state prodotte carte del periodo estivo (da giugno a settembre), dal 2003 al 2014.

Analisi della produzione cartografica

Le carte di PMI mostrano un’evidente tendenza stagionale e una forte variabilità inter-annuale. La Figura 4 mostra l’esempio di tre carte del 200° giorno degli anni 2012, 2013 e 2014. La variabilità spaziale del PMI differisce di anno in anno per il medesimo periodo di composizione. Simili risultati si osservano in ciascun periodo di composizione di tutti gli anni elaborati.

La Figura 5 mostra tre carte successive di PMI nell’anno 2014. Il PMI mostra l’evoluzione del contenuto d’acqua nella vegetazione col progredire della stagione estiva, verso condizioni di minore LFMC. Simili risultati si osservano in ciascuna stagione secca in ciascun anno.

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Figura 4 – Esempio di variabilità inter-annuale del contenuto gravimetrico d’acqua nella vegetazione.

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  Figura 5 – Esempio di variabilità stagionale del contenuto gravimetrico d’acqua nella vegetazione.

Le carte di PMI contengono un’informazione che è direttamente legata alla velocità di propagazione delle fiamme [14]. Questa caratteristica degli incendi è in realtà influenzata da fattori di diversa natura, quali topografia, tipo di vegetazione, densità della copertura vegetale, venti, azioni di contrasto, presenza di ostacoli. In un’analisi effettuata sugli incendi registrati in Campania dal 2000 al 2008, l’autore ha associato a ogni incendio registrato nel periodo estivo il valore PMI calcolato nel punto d’innesco nel periodo di composizione precedente a quello in cui si è verificato l’evento. Tale valore è stato poi confrontato con la velocità di propagazione delle fiamme, calcolata in maniera semplificata dalla dimensione e dalla durata dell’incendio. L’effetto del contenuto d’acqua della vegetazione (così come stimato dal PMI) da quello degli altri fattori è stato isolato mediando rispetto al PMI, e associando al valore mediano di intervalli di valori di PMI il valore medio della velocità di propagazione [12]. Il grafico ottenuto (Figura 6) mostra una forte correlazione lineare tra velocità di propagazione e indice PMI: a valori più alti di PMI corrispondono valori più bassi della velocità di propagazione delle fiamme, così come ci si aspetta in condizioni di maggiore contenuto d’acqua nella vegetazione.

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Figura 6 – Relazione tra velocità di propagazione media e PMI in Campania, anni 2000-2008.

Animazioni

Le seguenti animazioni mostrano in maniera dinamica la variabilità del contenuto gravimetrico d’acqua nella vegetazione nel corso delle stagioni estive degli anni 2013 e 2014.

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Bibliografia scientifica

[1]      JRC, “Forest
Fires in Europe, Middle East and North Africa 2013,” Ispra, 2014.

[2]      EUROPARC Federation, “Carta Europea del
Turismo Sostenibile nelle Aree Protette.” p. 24, 2010.

[3]      Amministrazione Provinciale di Napoli,
“Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) – Rapporto Ambientale,”
2009.

[4]      A. Bachmann and B. Allgöwer, “The
need for a consistent wildfire risk terminology,” in Joint Fire Science
Conference and Workshop Proceedings
, 2000, pp. 67–77.

[5]      FAO, “Fire management – global assessment
2006,” Rome, 2007.

[6]      FAO, “Wildland fire management
terminology,” Rome, 1986.

[7]      M. Yebra, P. E. Dennison, E. Chuvieco,
D. Riaño, P. Zylstra, E. R. Hunt, F. M. Danson, Y. Qi, and S. Jurdao, “Remote
Sensing of Environment A global review of remote sensing of live fuel moisture
content for fi re danger assessment : Moving towards operational
products,” vol. 136, pp. 455–468, 2013.

[8]      A. Davidson, S. Wang, and J.
Wilmshurst, “Remote sensing of grassland–shrubland vegetation water content in
the shortwave domain,” Int. J. Appl. Earth Obs. Geoinf., vol. 8, no. 4,
pp. 225–236, Dec. 2006.

[9]      G. Caccamo, L. A. Chisholm, R. A.
Bradstock, M. L. Puotinen, and B. G. Pippen, “Monitoring live fuel moisture
content of heathland, shrubland and sclerophyll forest in south-eastern
Australia using MODIS data,” Int. J. Wildl. Fire, vol. 21, no. 3, pp.
257–269, 2012.

[10]   C. Maffei and M. Menenti, “The potential
of remote sensing measurements of canopy reflectance for the evaluation of live
fuel moisture content and fire hazard mapping,” in Modelling Fire Behaviour
and Risk
, 2012, pp. 9–14.

[11]   C. Maffei and M. Menenti, “A MODIS-based
perpendicular moisture index to retrieve leaf moisture content of forest
canopies,” Int. J. Remote Sens., vol. 35, no. 5, pp. 1829–1845, 2014.

[12]   C. Maffei and M. Menenti, “An application
of the Perpendicular Moisture Index for the prediction of fire hazard,” EARSeL
eProceedings
, vol. 13, no. 1, pp. 13–19, 2014.

[13]   C. Maffei, L. Bonora, F. Maselli, A.
Mangiavillano, and M. Menenti, “The MODIS-based perpendicular moisture index as
a tool for mapping fire hazard: indirect validation in three areas of the
Mediterranean,” in Advances in Forest Fire Research, 2014, pp.
1017–1023.

[14]   E. Chuvieco, I. Aguado, M. Yebra, H.
Nieto, J. Salas, M. P. Martín, L. Vilar, J. Martínez, S. Martín, P. Ibarra, J.
de la Riva, J. Baeza, F. Rodríguez, J. R. Molina, M. a. Herrera, and R. Zamora,
“Development of a framework for fire risk assessment using remote sensing and
geographic information system technologies,” Ecol. Modell., vol. 221,
no. 1, pp. 46–58, Jan. 2010.